venerdì 24 febbraio 2012

l'isola che non c'è?

Dovevo partire. L'aereo c'era e c'ero anche io. Solo che l'aereo non decollava. Si spostava su piste che erano semplici strade in cerca del punto giusto in cui decollare. E io dietro, a rincorrerlo, in bicicletta o di corsa. Riuscivo infine a salirci e dentro l'aereo era come un pullman. Per decollare sceglieva una stradina in un bosco, stretta e in super salita. Dagli enormi finestrini guardavamo i rami attorno ostacolare e graffiare l'aereo e le tracce di neve che ancora ricoprono i sentieri in campagna frenare le ruote. L'aereo andava lentissimo, come un trattore, in mezzo a questo sentiero e scivolava indietro senza controllo, impossibilitato a salire. Il pilota si lamentava, diceva di aver paura di cadere, nel momento in cui fosse riuscito a partire. Così rinunciava. Scendevamo e rimanevamo in attesa in questo bosco. Ero annoiata, volevo partire e allo stesso tempo mi spaventava quest'inusuale decollo. Allo stesso tempo mi chiedevo perché non potessimo usare tutte le strade larghe, asfaltate, vuote e in piano che ci circondavano.

Scegliere la strada più difficile.

Infine, verso sera, il pilota riceveva comandi severi per la sua mancata partenza e diceva a tutti: "forza, andiamo, chi vuole provare salga a bordo, anche se non posso garantirvi la riuscita del volo". Ovviamente nessuno si fidava e io mi ritrovavo sola sull'aereo. Non ricordo nessuna urgenza: non dovevo volare per forza, ma volevo andare perché ero stanca di aspettare (sensazione simile alla scelta di estrarre il dente del giudizio nonostante il rischio che il nervo venisse lesionato). Del volo non ricordo nulla, se non la sua brevità. Ero già arrivata prima ancora di rendermi conto del viaggio. Mi ritrovavo a uscire da quella che poteva essere una stazione e la mia attenzione veniva subito attirata da una collinetta di fronte a me.

Il cuore impazziva: la collina era ricoperta di foglie rosse meravigliose, l'autunno esploso al centro di una città mediamente grigia. E il cielo di un azzurro intenso e perfetto a illuminare le foglie, la città e il mio torace. Un azzurro riecheggiante in petto. Irene era al mio fianco, ma io non la vedevo perché non potevo staccare gli occhi da quelle foglie ammalianti. Diceva che eravamo su un'isola greca e che poco distante dal centro c'era il lago in cui avevano girato "Il lago dei cigni" (?!)... mi spiegava di questo lago stupendo, pieno zeppo di cigni bellissimi, e mi consigliava di andarci assolutamente. Loro (Irene e gli altri, che non potevo vedere perché la collinetta di foglie mi attraeva a sé senza lasciar spazio a nient'altro) sarebbero ripartiti subito. Io cercavo di convincerli a restare: "avete volato con me x star qui solo pochi minuti?! restate almeno 2-3 giorni!"... Ma non riuscivo a pronunciare queste frasi con convinzione perché dovevo immergermi tra quelle foglie, vedere il centro di quella collina. Mi avvicinavo e sapevo esattamente di essere nel mio posto, un posto che mi rendeva felice indipendentemente dalla mia solitudine.

Ero esattamente dove dovevo essere.